Ricorso del dott. Carlo Willeit, nella qualita' di componente unico del gruppo linguistico ladino del consiglio regionale della regione autonoma Trentino-Alto Adige, rappresentato e difeso, giusto mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof. Massimo Luciani, presso il cui studio in Roma, lungotevere delle Navi n. 30, elegge domicilio. Contro la regione autonoma Trentino-Alto Adige, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, il consiglio regionale della regione autonoma Trentino-Alto Adige, in persona del presidente del consiglio regionale pro-tempore; E nei confronti della provincia autonoma di Bolzano, in persona del presidente della giunta provinciale pro-tempore, della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale pro-tempore, dello Stato, e per esso del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore; Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge regionale della regione autonoma Trentino-Alto Adige 15 maggio 1998, n. 5, "Modifica della legge regionale 8 agosto 1983, n. 7, concernente l'elezione del consiglio regionale", pubblicata nel bollettino ufficiale della regione Trentino-Alto Adige, n. 22 del 26 maggio 1998, nella sua interezza, ed in particolare per quanto riguarda l'art. 1, comma 1, nella parte in cui introduce un comma 01, primo periodo, prima dell'art. 61, comma 1, della legge regionale n. 7 del 1983; l'art. 1, comma 1, nella parte in cui introduce un comma 01, secondo periodo, prima dell'art. 61, comma 1, della legge regionale n. 7 del 1983; l'art. 1, comma 2; l'art. 1, comma 3. F a t t o 1. - L'art. 1, comma 1, della legge della regione autonoma Trentino-Alto Adige 15 maggio 1998, n. 5, recante "Modifi'ca della legge regionale 8 agosto 1983, n. 7, concernente l'elezione del consiglio regionale", ha inserito, prima del primo comma, dell'art. 61, della stessa legge regionale n. 7 del 1983, un comma 01, a tenor del quale "Nel collegio provinciale di Trento, alle operazioni di ripartizione dei seggi partecipano solo le liste che hanno ottenuto un numero di voti validi pari almeno al 5 per cento del totale dei voti validi riportati da tutte le liste nel collegio; l'eventuale parte frazionaria si trascura. Nel collegio provinciale di Bolzano, alle operazioni di ripartizione dei seggi partecipano solo le liste che hanno ottenuto un numero di voti validi pari almeno al quoziente naturale, calcolato dividendo il totale dei voti validi riportati da tutte le liste nel collegio per il numero dei consiglieri da eleggere nel medesimo; si trascura l'eventuale parte frazionaria del quoziente". Il comma 2, dello stesso art. 1 (unico articolo, del resto, nel quale la legge in epigrafe si ripartisce), dispone che nel primo comma dell'art. 61, della legge regionale n. 7 del 1983, le parole "riportati da tutte le liste" sono sostituite dalle parole "riportati dalle liste che hanno superato la soglia di cui al comma 01". Il comma 3, infine, dispone che nel secondo comma dello stesso art. 61, della legge n. 7 del 1983, le parole "voti residui di tutte le liste" sono sostituite dalle parole "voti residui delle liste ammesse", e che le parole "A queste operazioni partecipano anche le liste che non abbiano raggiunto il quoziente elettorale intero" sono soppresse. Ancorche' intitolata ad una generica "modifica" della legge regionale n. 7 del 1983, la legge in epigrafe si limita a compiere l'operazione disvelata dalla rubrica del suo art. 1, e cioe' ad introdurre una (duplice) "soglia elettorale" (Sperrklausel), e a modificare i criteri per la "determinazione del numero di seggi spettanti a ciascuna lista". Cosi' facendo, essa produce un grave pregiudizio per i diritti della minoranza ladina, riconosciuti dalla Costituzione e dallo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige. Per questo, a norma dell'art. 56, comma 1, del medesimo statuto, il gruppo linguistico ladino del consiglio regionale, in persona del suo componente unico dott. Carlo Willeit, ha chiesto, nella seduta n. 150 del 24 marzo 1998, la votazione per gruppi linguistici. Detta richiesta di votazione per gruppi linguistici non e' stata accolta dal consiglio regionale, e la votazione finale ha dato risultato favorevole all'approvazione della legge, onde il gruppo linguistico ladino, avvalendosi della facolta' attribuita dall'art. 56, comma 2, dello statuto, impugna la legge in epigrafe innanzi a codesta ecc.ma Corte costituzionale. Detta legge e' costituzionalmente illegittima per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Violazione da parte della legge impugnata, nella sua interezza, degli artt. 2 e 56 dello statuto della regione autonoma Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), in riferimento agli artt. 4, 25, 62, 84 e 92 dello stesso statuto, e agli artt. 2, 3, 6, 48 e 49 della Costituzione. Si deve premettere che la legge impugnata, costituita da un articolo unico avente non meno unica finalita' (chiarita, come appresso si dira', dalla sua rubrica), presenta un contenuto normativo unitario, che la rende impugnabile - giusta costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte - nella sua interezza. Come appresso si vedra', illegittime, comunque, risultano le sue singole prescrizioni, ancorche' assunte nella loro singola (sebbene, si ripete, inautonoma) individualita'. Quanto al quadro di riferimento normativo nel quale la legge impugnata si inserisce, si deve ricordare che l'art. 25 dello statuto Trentino-Alto Adige dispone che "Il consiglio regionale e' eletto con sistema proporzionale... secondo le norme stabilite con legge regionale". Da tale previsione, sistematicamente interpretata, si evince che: a) spetta al legislatore regionale definire piu' puntualmente le disposizioni destinate a regolare la competizione elettorale in Trentino-Alto Adige; b) il legislatore regionale, tuttavia, non gode di una discrezionalita' illimitata, in quanto e' tenuto a rispettare: b1) la specifica previsione dello statuto che opta direttamente in favore del principio elettorale proporzionale; b2) le altre previsioni dello statuto; b3) i principi fondamentali della Costituzione. Nessuno di questi limiti e' stato rispettato dalla legge qui impugnata, ed in particolare non sono stati rispettati i limiti fissati dagli artt. 2 e 56 dello statuto (in una con le altre disposizioni statutarie e costituzionali in epigrafe indicate) a presidio dell'identita' e dell'autonomia dei gruppi linguistici (in particolare di quello ladino). Che cosa, in effetti, e' accaduto? E' accaduto, semplicemente, che il legislatore regionale ha fissato una vera e propria clausola di sbarramento (diversamente articolata per il collegio di Trento e per quello di Bolzano) in danno delle piccole liste presentate per l'elezione del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige. Ancorche' il testo italiano utilizzi il piu' inoffensivo termine "soglia", quello tedesco - piu' esplicito, come sovente accade - parla apertamente di Sperrklusel, e cioe', appunto, di clausola di sbarramento. Una clausola di sbarramento ha la precipua e specifica funzione di impedire l'accesso alla rappresentanza alle liste di minor consistenza numerica, e cioe' ai c.d. "partiti scheggia" (Splitterparteien). Questo, onde assicurare la "garanzia della rappresentanza della volonta' popolare" (per utilizzare una formula cara alla giurisprudenza costituzionale tedesca). Ebbene: questa finalita' (e quindi una clausola di sbarramento) e' del tutto incompatibile con la ratio dell'art. 25 dello statuto Trentino-Alto Adige che - come detto - fissa il principio della necessaria proporzionalita' del sistema elettorale per l'elezione del consiglio regionale. E' noto che il principio proporzionalistico e' stato accolto in vario modo da molte Costituzioni contemporanee (cfr. ad esempio, per limitarsi ai soli Paesi europei, l'Olanda, l'Irlanda, la Finlandia, la Danimarca, l'Austria, il Portogallo, il Lussemburgo, la Svizzera, il Belgio, Malta, la Spagna, la Norvegia, la Svezia, il Liechtenstein, l'Estonia, la Lettonia). In alcuni casi e' la stessa Costituzione che indica il tipo di sistema elettorale proporzionale che deve essere adottato; in altri questo tipo deve essere ricostruito in base alla ratio sottesa alla scelta di fondo in favore del principio proporzionalistico. E' quanto si deve fare, qui, di fronte all'art. 25, statuto Trentino-Alto Adige. Ebbene, la ratio dell'art. 25 si comprende appieno se tale articolo si mette in relazione proprio con il precedente art. 2 (articolo, questo, al cui rispetto e' preordinato proprio il modello di impugnativa di cui all'art. 56, del quale il presente ricorso e' manifestazione), a tenor del quale "Nella regione e' riconosciuta parita' di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali". Il principio di proporzionalita' del sistema elettorale, invero, e' dallo statuto ritenuto funzionale alla salvaguardia delle caratteristiche etniche e culturali dei gruppi linguistici, nell'esatto presupposto che tale salvaguardia abbia senso solo se di quelle caratteristiche si assicura la proiezione sul piano "alto" della rappresentanza. Per questo, la scelta del legislatore regionale in favore di una clausola di sbarramento e' in se' illegittima, sia in riferimento al collegio provinciale di Bolzano, sia a quello di Trento. Essa, infatti, oltre a costringere i gruppi linguistici piu' piccoli ad essere - come si dimostrera' - subalterni nei confronti di quelli piu' grandi, costringe, piu' in generale, le varie liste ad innaturali accorpamenti al fine di superare lo sbarramento, perdendo le identita' politiche che, in una logica pluralistica, sono elemento connotativo delle identita' linguistiche, nella loro varia articolazione. Una soglia di sbarramento elettorale, dunque, e' di per se' illegittima, e la scelta in suo favore rende radicalmente illegittima anche tutta la legge qui impugnata. Non basta. La previsione di una clausola di sbarramento e' ancor piu' illegittima in quanto, in una realta' come quella della regione autonoma Trentino-Alto Adige, tra le piccole formazioni alle quali si vorrebbe sbarrare il passo si trovano liste rappresentative di minoranze meritevoli di tutela costituzionale (sicche' l'illegittimita' della legge impugnata si dimostra ulteriormente). Non varrebbe replicare che ogni sistema elettorale proporzionale cela una qualche soglia per l'accesso alla rappresentanza: il problema sta infatti in cio' che la soglia si puo' introdurre solo quando, nonostante la sua presenza, il sistema elettorale "si comporta in modo neutrale nei confronti della competizione elettorale fra i partiti" (e' di nuovo preziosa la lezione del diritto comparato: cfr. la sent. del Bundesverfossungsgericht del 29 settembre 1990, in riferimento alle prime elezioni dopo la "riunificazione"). In questo caso, e' precisamente la neutralita' del sistema elettorale (imposta, nel nostro ordinamento, dagli artt. 3, 48 e 49 Cost.) che e' venuta meno, poiche' la clausola di sbarramento si dirige in astratto alla platea delle liste competitrici, ma colpisce concretamente le liste espressive di gruppi linguistici minoritari, in particolare di quella espressione del gruppo ladino, alla quale viene sottratta qualunque chance di ottenere rappresentanza. Parlano, invero, le cifre. Come appresso vedremo, il rapporto fra elettorato ladino e totale dell'elettorato e' tale (sia nella provincia di Bolzano che in quella di Trento) che l'applicazione dello sbarramento imposto dalla legge impugnata elimina qualunque possibilita' di una rappresentanza ladina selezionata attraverso un'apposita lista (tanto nel collegio di Trento che in quello di Bolzano). Cio' e' in radicale contrasto con le garanzie statutarie di rappresentanza dei gruppi linguistici nel consiglio regionale. Invero, l'art. 25 intende assicurare tramite la proporzionale ai gruppi linguistici, attraverso il libero giuoco della competizione elettorale, una rappresentanza nel consiglio regionale. Un sistema non proporzionale, ovvero un sistema proporzionale non sufficientemente fotografico, impedirebbero tale rappresentanza dei gruppi, e questo e' cio' che l'art. 25 vuole appunto evitare. La rappresentanza in consiglio, a sua volta, e' - ripetiamo - essenziale per quella salvaguardia delle "rispettive caratteristiche etniche e culturali" che e' imposta dall'art. 2: lo statuto - certo - vuole la pacifica e collaborativa convivenza fra i vari gruppi linguistici, ma respinge l'integrazione di quelli minoritari in quello maggioritario, e per raggiungere questo risultato e' indispensabile che ciascun gruppo abbia accesso alla rappresentanza consiliare (solo cosi' l'"essenziale valore riconosciuto alle minoranze linguistiche locali" di cui parla la sent. n. 261 del 1995 - punto 5 del Considerato in diritto - puo' trovare effettiva protezione). Si badi: la rappresentanza che si richiede e' proprio e specificamente quella del gruppo: lo stesso art. 62 dello statuto, in specifico riferimento al gruppo linguistico ladino, impone la rappresentanza del gruppo. Solo in sede di legislazione elettorale regionale si e' disposto che la diretta rappresentanza del gruppo sia surrogabile dalla presenza di un consigliere, appartenente al gruppo, eppero' eventualmente non scelto direttamente dal gruppo (art. 63, legge regionale n. 7 del 1983), ma (a prescindere dalla legittimita' di tale scelta normativa, che qui non puo' porsi in discussione) questa eventualita' rappresenta - come appresso si dira' - una garanzia meramente sussidiaria di quella ben piu' incisiva che e' apprestata dallo stesso statuto. Come e' stato esattamente rilevato in dottrina, l'art. 25 vuole dare ai gruppi linguistici pari opportunita' di accedere al consiglio regionale, "assumendo implicitamente che gli elettori regionali esprimeranno un voto coerente con la propria appartenenza linguistica si' che ciascun gruppo linguistico, avendo presentato propri candidati, risultera' rappresentato negli organi consiliari" (R. Toniatti, Identita', eguaglianza e azioni positive: profili e limiti costituzionali della rappresentanza politica preferenziale, in Le pari opportunita' nella rappresentanza politica e nell'accesso al lavoro, a cura di S. Scarponi, Trento, 1997, 87). Tanto, e' essenziale aggiungere, "sul presupposto dell'esistenza di una rispettiva lista elettorale propria" (ivi, 94). Lo statuto, dunque, radica il principio proporzionalistico nell'esigenza di salvaguardia delle caratteristiche culturali di ciascun gruppo linguistico, e cosi' facendo muove da una premessa e si apre ad alcune logiche conseguenze. La premessa - come abbiamo visto - e' che il sistema elettorale deve consentire a ciascun gruppo linguistico di presentare una propria lista, e non gia' di vedere i propri candidati costretti, quanto meno, a rifluire nelle liste che fanno capo ad altri gruppi. Per quanto riguarda in particolare il caso dei ladini: se non si offre la possibilita' di una rappresentanza diretta di una lista ladina, la presenza (almeno³) di un ladino e' possibile solo a condizione che i candidati ladini si pieghino a farsi "ospitare" da liste espressione di altri gruppi linguistici, nonche' a condizione che queste siano disponibili ad accoglierli, il che lascia - inaccettabile paradosso - la tutela del gruppo... nelle mani degli altri gruppi³ Le conseguenze sono esplicitate dagli artt. 56 e 92, che confidano ai consiglieri regionali di ciascun gruppo il potere (funzionalizzato) di impugnare le leggi o - rispettivamente - gli atti amministrativi lesivi dei diritti dei gruppi linguistici, nonche' dall'art. 84 (che - comma 2 - impone la votazione dei capitoli di bilancio, a richiesta, per gruppi linguistici). Tali meccanismi garantistici hanno senso - evidentemente - solo se i gruppi possono organizzare la propria rappresentanza attraverso liste proprie, senza essere costretti ad andare "a rimorchio" di altri gruppi per vedere un loro appartenente eletto in consiglio regionale. Solo in via strettamente subordinata puo' scattare - per quanto concerne specificamente il gruppo ladino - il meccanismo di cui all'art. 63, della legge regionale n. 7 del 1983, a tenor del quale, faute de mieux, un rappresentante del gruppo linguistico ladino e' comunque chiamato in consiglio, quale che sia la lista in cui si e' candidato (e', questa, una forma di rappresentanza che potremmo definire "indiretta"). Questo pero', come si vede, e' un mero paracadute, destinato ad aprirsi solo nell'eventualita' in cui il meccanismo proporzionale non abbia prodotto i risultati preventivati, eppercio' conferma l'ispirazione di fondo dell'art. 25, che impone al legislatore regionale di disegnare un sistema elettorale che consenta a ciascun gruppo linguistico (ivi compresi, a maggior ragione, i ladini) di presentare una propria lista. Tale "paracadute", per giunta, e' previsto pel solo collegio di Bolzano (cfr. sent. n. 233 del 1994), e cio' significa che per i ladini della provincia di Trento l'introduzione di una clausola di sbarramento (del 5%³) si risolve non gia' nella possibilita' (che lo stesso statuto tollera), ma nella certezza di non avere rappresentanza (ne' diretta ne' indiretta) in consiglio regionale. La situazione e' ben diversa da quella, ad esempio, dell'art. 80, secondo comma, della Costituzione slovena, a tenor del quale "Nella Camera dello Stato viene eletto sempre un deputato appartenente alle comunita' nazionali italiana e magiara": qui, ci si accontenta di avere un deputato "appartenente" alla comunita' minoritaria; nello statuto Trentino-Alto Adige si vuole che sia il gruppo linguistico ad avere la facolta' di presentare una propria lista, restando arbitro, da se', della propria rappresentanza, senza dover contare sull'altrui "ospitalita'" o "tutela". Sinora, il legislatore regionale aveva mostrato di intender bene la ratio dell'art. 25 dello statuto, ed anzi - adottando per la distribuzione dei seggi il sistema del quoziente corretto (+2) e sostituendo, per l'assegnazione dei seggi residui, il sistema del divisore (d'Hondt) con quello dei piu' alti resti - aveva palesato una "tendenza evolutiva... nel senso del piu' rigoroso garantismo delle minoranze" (cosi' A. Cerri, Il diritto elettorale e la sua storia nel Trentino-Alto Adige con riferimento alla tutela delle minoranze, in Le Regioni 1997, 314). La legge impugnata sovverte questa tendenza, e sconvolge sin dalle fondamenta il disegno statutario. Cio' che la legge impugnata mira a fare, in realta', e' - puramente e semplicemente - estromettere la diretta rappresentanza ladina dal consiglio regionale, rendendo indispensabile l'apertura di quel "paracadute" offerto dall'art. 63, della legge regionale n. 7 del 1983 (rappresentanza indiretta), che come abbiamo visto costituisce una garanzia solo subordinata, eventuale e aleatoria per la minoranza ladina. Che di mero "paracadute" si tratti e' consapevole lo stesso legislatore statale: alla Camera e' attualmente in discussione una proposta di legge costituzionale (relatore l'on. Maselli) volta a rafforzare le garanzie per la minoranza ladina (specie nella provincia di Trento), nella consapevolezza che l'elezione di un ladino solo attraverso il ripescaggio di un appartenente a tale gruppo linguistico in una delle "altre" liste "ha comportato sempre una condizione di sudditanza della minoranza ladina, con grave pregiudizio purtroppo anche per la sua autonomia" (cosi' l'intervento dell'on. Mitolo alla seduta del 25 maggio 1998). La cosa del resto e' tanto evidente che non eget probatione: quale mai puo' essere l'autonomia del consigliere ladino eletto, poniamo, nelle liste della SVP, quando gli interessi del gruppo linguistico di appartenenza entrano in conflitto con quelli della forza politica che lo ha presentato candidato (e puo' confermare o meno la sua candidatura per un successivo mandato)? E' chiaro che solo la chance, per i ladini, di ottenere rappresentanza con una loro lista soddisfa le esigenze di autonomia, rappresentativita', salvaguardia delle identita' culturali, che sono al centro della problematica che ne occupa. La violazione delle disposizioni statutarie sopra indicate e' dunque evidente. Violato e' l'art. 2, che impone al legislatore la salvaguardia delle identita' culturali dei gruppi linguistici, laddove la legge impugnata sottrae al gruppo ladino la tribuna che e' indispensabile per dare corpo e strumenti politici a quella salvaguardia. Violate, pero', sono anche le altre disposizioni statutarie che all'art. 2 si ricollegano. In particolare, violato e' l'art. 4, che qualifica come di "interesse nazionale" la protezione delle minoranze linguistiche locali, che il legislatore regionale, invece, ha qui gravemente danneggiato. Violato e' l'art. 25, in quanto il principio proporzionalistico, formalmente rispettato, viene in realta' leso nella sua piu' profonda (eppero' chiara) ratio. Violato e' l'art. 62, che vuole che la rappresentanza dei ladini si riferisca al gruppo, prima ancora che al singolo appartenente. Violati sono gli artt. 56 e 92, che istituiscono una corrispondenza biunivoca fra garanzia della rappresentanza del gruppo e azione giudiziaria in difesa delle prerogative dello stesso. Violato e' l'art. 84, che rende i gruppi linguistici, in quanto tali, protagonisti della votazione del bilancio. Violato, infine, e' ovviamente il combinato disposto di tali previsioni statutarie, che entrano a comporre un sistema di garanzie forti e articolate della rappresentanza ladina, che il legislatore ha letteralmente stravolto. Violate, peraltro, sono anche le sopra indicate disposizioni costituzionali (esse pure direttamente o indirettamente preordinate alla garanzia dei gruppi linguistici). Violato e' l'art. 2, in quanto agli elettori ladini si impedisce, per un verso, il libero esercizio di un diritto individuale inviolabile come quello di voto, e per l'altro si frappongono invalicabili ostacoli al godimento dei loro diritti entro la formazione sociale di riferimento (il gruppo linguistico e la sua espressione politica). Violato e' l'art. 3, poiche' la legge impugnata persegue irragionevolmente una finalita' costituzionalmente inaccettabile (lo sbarramento alle liste dei gruppi linguistici minoritari). Nella misura in cui, poi, dietro la legge impugnata si potesse intravvedere una finalita' costituzionalmente apprezzabile (la semplificazione del sistema partitico a fini di governabilita'), l'irragionevolezza della legge impugnata non verrebbe meno, in quanto essa si disinteressa del tutto della peculiarita' costituita dalle liste espressive di gruppi linguistici minoritari, assoggettando alla clausola di sbarramento anche queste. Vi e', poi, anche una irrazionalita' interna della legge impugnata, che, nel mentre introduce la clausola di sbarramento, incongruamente mantiene, per la distribuzione dei seggi fra le liste "salvatesi" dallo sbarramento, il criterio del quoziente corretto con il metodo Imperiali, nonche' quello dell'assegnazione dei seggi residui con il sistema dei piu' alti resti. Tecniche, queste, che favoriscono l'accesso alla rappresentanza delle formazioni piu' piccole, e quindi mal si conciliano con l'intento di semplificazione perseguito dal legislatore regionale. Violato, poi, e' l'art. 6, atteso che il principio della tutela delle minoranze linguistiche, ivi fissato ed ulteriormente specificato nello statuto, viene vanificato, in particolare sbarrando l'accesso alla rappresentanza alla lista espressiva di un gruppo linguistico di straordinaria importanza storica e culturale come quello ladino. Violati, altresi', sono gli artt. 3, 48 e 49 della Costituzione, atteso che la dimostrata non-neutralita' del sistema elettorale, per come modificato dalla legge impugnata, pregiudica la libera ed egualitaria competizione fra i partiti, e - parallelamente - il libero ed egualitario esercizio del diritto di voto. L'esigenza di una declaratoria di illegittimita' costituzionale discende pianamente da tutte queste considerazioni. Non varrebbe obiettare che tale declaratoria di incostituzionalita' sarebbe preclusa dall'esistenza di un margine di apprezzamento del legislatore regionale, al quale il giudice costituzionale non potrebbe sostituirsi. Il caso, invero, e' ben diverso da quello risolto da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sent. n. 438 del 1993. In quella occasione, infatti, la declaratoria di inammissibilita' venne motivata rilevando che non vi era, "di fronte ad una ipotetica illegittimita' costituzionale, una soluzione obbligata ma una pluralita' di soluzioni", il che impediva a codesta ecc.ma Corte di "sostituirsi al legislatore in una scelta a lui riservata". Con tutta evidenza (lo si e' notato anche in dottrina: cfr. S. Bartole, Ancora un caso di "inquietante inammissibilita'", in Giur. cost. 1994, 424), il presupposto di tale declaratoria e' da rintracciare nel tipo di pronuncia di incostituzionalita' che avrebbe dovuto essere emessa: ipotizzandosi di dover ricorrere ad una pronuncia additiva, si ritenne di non avere a disposizione quella soluzione "a rime obbligate" che avrebbe potuto giustificarla, e - constatata l'esistenza di una pluralita' di soluzioni (che lo stesso ricorrente prospettava: cfr. la parte in fatto del ricorso, ad finem) - ci si arresto' dinanzi al confine che delimita la discrezionalita' del legislatore. Neppure una declaratoria di incostituzionalita' "secca", poi, avrebbe potuto essere soddisfacente. Il ricorso introduttivo del giudizio definito con la sent. n. 438 del 1993, infatti, prospettava l'illegittimita' costituzionale degli interi artt. 1 e 5, della legge 4 agosto 1993, n. 277, e l'eventuale accoglimento delle censure avrebbe determinato la sostanziale inoperativita' dell'intero sistema elettorale per come "amputato" delle disposizioni illegittime. L'esigenza di assicurare la piena funzionalita' delle assemblee rappresentative precludeva dunque anche questa strada (analoghe osservazioni in S. Bartole, Op. cit., 427 sg.). Nessun ostacolo di tal genere si frappone all'accoglimento del presente ricorso. Nel caso che ne occupa, invero, il ricorrente chiede, in via principale, la declaratoria di incostituzionalita' "secca" della legge impugnata, in ragione della radicale illegittimita' di una clausola di sbarramento (ancorche' differenziata per i due collegi di Trento e di Bolzano) per l'accesso al consiglio regionale della regione autonoma Trentino-Alto Adige, sicche' non sussistono i limiti che si rinvengono, invece, nel caso delle sentenze additive. L'auspicata declaratoria di incostituzionalita', poi, non determinerebbe l'inoperativita' del sistema elettorale per l'elezione del consiglio regionale della regione Trentino-Alto Adige. La cosa e' di piana evidenza: trattandosi di disposizioni che introducono una novella ad una legge precedente, e che - inoltre - prevedono gli "aggiustamenti" del testo della legge vecchia opportuni per dar seguito alla novella introdotta dalla legge nuova, la loro incostituzionalita' determinerebbe l'applicabilita', alle prossime consultazioni elettorali, della legge regionale n. 7 del 1983, nel testo antecedente alle illegittime modificazioni introdotte dalla legge impugnata. L'operativita' del sistema sarebbe dunque in re ipsa, poiche' il sistema da applicarsi non sarebbe altro che quello - gia' collaudato - anteriore all'illegittima riforma. Solo in via strettamente subordinata, e non alternativa, il ricorrente censura la legge impugnata nella parte in cui questa non prevede la propria inapplicabilita' alle liste espressione di minoranze linguistiche in generale, e a quelle espressione della minoranza linguistica ladina in particolare. Nella denegata ipotesi in cui, invero, codesta ecc.ma Corte costituzionale non ritenesse di dichiarare l'illegittimita' "secca" della legge impugnata, la pronuncia manipolativa in stretto subordine richiesta non incontrerebbe la stessa preclusione fatta valere dalla sent. n. 438 del 1993 per il diverso caso precedentemente ricordato. Si deve invero considerare che la questione allora scrutinata riguardava la disciplina (statale) delle elezioni politiche nazionali, laddove oggi si controverte sulla disciplina (regionale) delle elezioni del consiglio regionale della regione autonoma Trentino-Alto Adige. La normativa di rango costituzionale di riferimento e', dunque, parzialmente diversa, atteso che si applica qui il principio di cui all'art. 25 dello statuto di autonomia, a tenor del quale il sistema elettorale per l'elezione del consiglio regionale deve essere proporzionale. Rettamente interpretato, come abbiamo visto, in una con l'art. 2 dello statuto, tale principio comporta la necessita' dell'apprestamento di una garanzia di rappresentanza per i gruppi linguistici, in particolare (come conferma l'art. 62 dello stesso statuto) in riferimento al gruppo linguistico ladino. La sottrazione delle liste espressione di tale gruppo all'applicazione della legge impugnata e', dunque, costituzionalmente necessitata (a "rime obbligate"). Non varrebbe, a questo punto, ribattere che l'esistenza di una censura subordinata dimostrerebbe la sussistenza di una discrezionalita' legislativa (potendosi l'incostituzionalita' sanare o con la declaratoria di illegittimita' dell'intera legge, o con la prospettata pronuncia additiva). E' chiaro, infatti, che le due soluzioni non sono in alternativa ma in sequenza: la seconda (la pronuncia additiva) ha spazio solo nel caso in cui codesta ecc.ma Corte costituzionale (e non certo il legislatore³) ritenga insussistente il vizio radicale affliggente la legge - sopra evidenziato - e constati il solo vizio parziale derivante dall'applicabilita' della stessa alle minoranze linguistiche (e a quella ladina in particolare). Conseguentemente, ad una pronuncia di merito e', qui, impossibile non arrivare. 2. - Violazione, da parte dell'art. 1, comma 1, della legge impugnata, nella parte in cui introduce un comma 01, primo periodo, prima dell'art. 61, comma 1, della legge regionale n. 7 del 1983, degli artt. 2 e 56 dello statuto della regione autonoma Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), in riferimento agli artt. 4, 25, 62, 84 e 92 dello stesso statuto, e agli artt. 2, 3, 6, 48 e 49 della Costituzione. La legge impugnata, si e' visto, prevede uno sbarramento diversamente articolato per il collegio elettorale di Trento e per quello di Bolzano. Come si e' ricordato nell'esposizione dei fatti di causa, l'art. 1, comma 1, della legge impugnata, introducendo un comma 01, primo periodo, prima dell'art. 61, comma 1, della legge regionale n. 7 del 1983, dispone che "Nel collegio provinciale di Trento, alle operazioni di ripartizione dei seggi partecipano solo le liste che hanno ottenuto un numero di voti validi pari almeno al 5 per cento del totale dei voti validi riportati da tutte le liste nel collegio; l'eventuale parte frazionaria si trascura". Tale specifica previsione e' illegittima per le stesse ragioni che determinano la generale illegittimita' della legge impugnata. Si deve peraltro rilevare, in particolare riferimento a tale previsione e ai suoi specifici effetti sul gruppo linguistico ladino, che la popolazione complessiva della provincia di Trento, al censimento del 1991, risultava di 449.852 unita'. A fronte di tale popolazione complessiva, il numero dei ladini dei sette comuni della Val di Fassa (nei quali tale gruppo linguistico, in provincia di Trento, si concentra) risultava essere (dati 1995) di 7.729 unita', per una percentuale sul totale della popolazione dell' 1,7%. Poiche' alle elezioni regionali del 21 novembre 1993 i voti validi sono stati 308.382, ponendo che i voti validi espressi dai ladini siano stati, in termini percentuali, corrispondenti alla popolazione ladina residente nella provincia di Trento, avremmo 5.242 voti ladini, pari appunto all' 1,7% del totale di 308.382. Poiche' la soglia del 5% sarebbe stata pari a 15.419 voti, noi avremmo avuto, applicando il sistema ora introdotto dalla legge impugnata, che la lista espressione del gruppo linguistico ladino avrebbe dovuto ottenere - per avere rappresentanza - circa il 300% dei voti espressi dagli appartenenti al gruppo. L'enormita' della pretesa introdotta dalla legge impugnata disvela - anche qui - la sua illegittimita', poiche' presuppone una monoliticita' del gruppo linguistico che non e' realistica, in lesione della parita' di chances fra gruppi linguistici, e della liberta' di voto di chi a tali gruppi appartiene. E' evidente invero che, con lo sbarramento imposto dalla disposizione censurata, le popolazioni ladine della provincia di Trento avrebbero chances ancor piu' ridotte delle attuali di vedersi rappresentate da consiglieri direttamente espressi dal gruppo linguistico, in violazione delle disposizioni statutarie e costituzionali in epigrafe indicate, delle quali si e' sopra prospettata la doverosa interpretazione. Non varrebbe opporre - eventualmente ricordando la sent. n. 233 del 1994 - che per i ladini della provincia di Trento non valgono le stesse garanzie speciali che lo statuto prevede per i ladini della provincia di Bolzano. Un conto, infatti, e' disporre con legge regionale garanzie ulteriori rispetto a quelle statutarie, un altro - sempre con legge regionale, peggiorare il trattamento sinora praticato alla popolazione ladina di quella provincia. Ostano a tale scelta, infatti, gli artt. 2 e 25 dello statuto, per come sopra interpretati anche in relazione alle altre disposizioni costituzionali e statutarie, che determinano l'illegittimita' costituzionale di una clausola di sbarramento per l'accesso al consiglio regionale della regione autonoma Trentino-Alto Adige. Tanto, oltretutto, e' in rotta di collisione con la tendenza che si sta maturando in ambito nazionale, dove - come si e' gia' ricordato - e' in corso di approvazione una proposta di legge costituzionale intenzionata proprio ad aumentare il livello di protezione dei ladini della provincia di Trento. Anche qui, il ricorrente auspica una declaratoria di incostituzionalita' della disposizione censurata nella sua totalita', e in via solo strettamente subordinata ne prospetta l'illegittimita' nella parte in cui questa non prevede la propria inapplicabilita' alle liste espressione di minoranze linguistiche in generale, e a quelle espressione della minoranza linguistica ladina in particolare. 3. - Violazione, da parte dell'art. 1, comma 1, della legge impugnata, nella parte in cui introduce un comma 01, secondo periodo, prima dell'art. 61, comma 1, della legge regionale n. 7 del 1983, degli artt. 2 e 56 dello statuto della regione autonoma Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), in riferimento agli artt. 4, 25, 62, 84 e 92 dello stesso statuto, e agli artt. 2, 3, 6, 48 e 49 della Costituzione. Come si e' ricordato nell'esposizione dei fatti di causa, l'art. 1, comma 1, della legge impugnata, introducendo un comma 01, secondo periodo, prima dell'art. 61, comma 1, della legge regionale n. 7 del 1983, dispone che "Nel collegio provinciale di Bolzano, alle operazioni di ripartizione dei seggi partecipano solo le liste che hanno ottenuto un numero di voti validi pari almeno al quoziente naturale, calcolato dividendo il totale dei voti validi riportati da tutte le liste nel collegio per il numero dei consiglieri da eleggere nel medesimo; si trascura l'eventuale parte frazionaria del quoziente". Anche qui siamo di fronte ad una clausola di sbarramento: che si tratti del quoziente "naturale" non cambia i termini della realta', e lo stesso legislatore regionale tratta lo sbarramento nel collegio di Bolzano appunto come tale (v. anche la lettera del comma 2), e quindi nello stesso identico modo in cui tratta lo sbarramento nel collegio di Trento. Tale specifica previsione e' illegittima per le stesse ragioni che determinano la generale illegittimita' della legge impugnata. Si deve peraltro rilevare, in particolare riferimento a tale previsione e ai suoi specifici effetti sul gruppo linguistico ladino, che la popolazione complessiva della provincia di Bolzano, al censimento del 1991, risultava di 440.508 unita'. A fronte di tale popolazione complessiva (per il 67,99% appartenente al gruppo tedesco, per il 27,64% appartenente al gruppo italiano), il numero dei ladini risultava essere di 18.434 unita', per una percentuale sul totale della popolazione del 4,36%. Poiche' alle elezioni regionali del 21 novembre 1993 i voti validi sono stati 307.838, ponendo che i voti validi espressi dai ladini siano stati, in termini percentuali, corrispondenti alla popolazione ladina residente nella provincia di Bolzano, avremmo 13.421 voti ladini, pari appunto al 4,36% del totale di 307.838. Poiche' il quoziente naturale era pari a 8.804 voti (307.838 voti diviso 35 seggi), noi avremmo avuto, applicando il sistema ora introdotto dalla legge impugnata, che la lista espressione del gruppo linguistico ladino avrebbe dovuto ottenere - per avere rappresentanza - ben il 66% dei voti espressi dagli appartenenti al gruppo. L'enormita' della pretesa introdotta dalla legge impugnata disvela - anche qui - la sua illegittimita', poiche' - si ripete - presuppone una monoliticita' del gruppo linguistico che non e' realistica e non puo' legittimamente essere pretesa, in lesione della parita' di chances fra gruppi linguistici, e della liberta' di voto di chi a tali gruppi appartiene. Nella provincia di Bolzano, poi, vale la peculiare posizione del gruppo linguistico ladino garantita dallo statuto (art. 62, per la cui interpretazione v. sent. n. 233 del 1994), onde i profili di illegittimita' gia' esaminati in riferimento alla previsione relativa alla provincia di Trento ne escono ulteriormente rafforzati. Anche qui, il ricorrente auspica una declaratoria di incostituzionalita' della disposizione censurata nella sua totalita', e in via solo strettamente subordinata ne prospetta l'illegittimita' nella parte in cui questa non prevede la propria inapplicabilita' alle liste espressione di minoranze linguistiche in generale, e a quelle espressione della minoranza linguistica ladina in particolare. 4. - Violazione, da parte dell'art. 1, commi 2 e 3, della legge impugnata, degli artt. 2 e 56 dello statuto della regione autonoma Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), in riferimento agli artt. 4, 25, 62, 84 e 92 dello stesso statuto, e agli artt. 2, 3, 6, 48 e 49 della Costituzione. Come si e' ricordato nell'esposizione dei fatti di causa, la legge impugnata dispone, al comma 2, dell'art. 1, che nel primo comma dell'art. 61, della legge regionale n. 7 del 1983, le parole "riportati da tutte le liste" sono sostituite dalle parole "riportati dalle liste che hanno superato la soglia di cui al comma 01". Al comma 3 dello stesso art. 1, poi, dispone che nel secondo comma dello stesso art. 61, della legge n. 7 del 1983, le parole "voti residui di tutte le liste" sono sostituite dalle parole "voti residui delle liste ammesse", e che le parole "A queste operazioni partecipano anche le liste che non abbiano raggiunto il quoziente elettorale interno" sono soppresse. Tali previsioni sono, con piana evidenza, consequenziali a quelle di cui al comma 1, e sono pertanto affette dai medesimi vizi, che tutte le travolgono, valgono, pertanto, le considerazioni sopra sviluppate a dimostrazione della loro illegittimita' costituzionale. Anche qui, il ricorrente auspica una declaratoria di incostituzionalita' della disposizione censurata nella sua totalita', e in via solo strettamente subordinata ne prospetta l'illegittimita' nella parte in cui questa non prevede la propria inapplicabilita' alle liste espressione di minoranze linguistiche in generale, e a quelle espressione della minoranza linguistica ladina in particolare.